UDINE
Udine è capoluogo di provincia del Friùli-Venezia Giulia, ed è sede arcivescovile. E’ situata 112 metri sopra il livello del mare ed ha 95.098 abitanti. La città, dopo che un patriarca, nel ‘200, la preferì come sede a Cividale, è il centro storico e cuore dell’identità culturale, mercato e crocevia di traffici transalpini del Friùli. Ai piedi del colle troviamo una singolarissima piazza che ricorda l’unione alla Serenissima. E’ ben noto poi che nel palazzo del vescovo venne a dipingere storie bibliche, con inimmaginabile freschezza di colore, il Tiepolo trentenne. STORIA E SVILUPPO URBANO Probabilmente il Castello fu eretto per vedetta e per difesa ai tempi delle scorrerie degli Ungari e, periodicamente in esso esercitò la giustizia il conte di Gorizia, avvocato del patriarca, e quelle due volte all’anno furono per qualche secolo gli unici avvenimenti che turbavano la pace delle poche case sorte ai piedi del Castello. Ma nel secolo XIII il patriarca Bertoldo di Andechs prese a risiedervi abbandonando l’eccentrica Cividale. Fu per Udine l’inizio di uno sviluppo del quale restano poche tracce oltre alla pieve di S.Maria in Castello, ma che ne fece da allora il capoluogo del Friùli. Quando la prima cinta di mura fu insufficiente se ne costruì subito un’altra nella prima metà del secolo XIV, che vide però una serie di lotte tra fazioni favorevoli e avverse all’indebolito potere del patriarca. Un colpo mortale gli fu inflitto dalla famiglia Savorgnan che si alleò a Venezia, e nel 1420 Udine con tutto il Friùli veniva unita alla Repubblica Veneta. La perdita dell’indipendenza fu compensata da larghe autonomie e da un grande sviluppo artistico e urbanistico, quali la Piazza della Libertà, il Palazzo del Comune, il porticato di San Giovanni e la stessa struttura attuale del Castello. Il ‘700 vide la città ancora abbellita dall’opera di Tiepolo che lavorò ai dipinti del Duomo e affrescò il Palazzo arcivescovile e l’oratorio della Purità. Dopo la caduta della Repubblica e l’intervallo napoleonico, Udine con tutto il Friùli entrò a far parte del Lombardo-Veneto austriaco e fu unita al regno d’Italia dopo la seconda guerra d’indipendenza. Solo alla fine della prima guerra mondiale la città ha preso ad allargarsi oltre il perimetro delle vecchie mura, e soltanto il più recente sviluppo urbano ha riempito gli ultimi orti rimasti all’interno e ha allungato i suoi tentacoli lungo le arterie d’accesso, promuovendo però il recupero del centro storico
TRIESTE
La Tergeste (da terg, "mercato", ed este, "città") fondata dai romani nel II secolo a.C. divenne subito un vivace borgo a vocazione commerciale, in ciò favorito dalla sua posizione di raccordo tra Aquileia e le coste istriane. Al tempo dell'imperatore Traiano, Trieste si estendeva sul Colle di S. Giusto ed aveva una forma triangolare, con il vertice sulla sommità del colle e la base sul mare, che arrivava dove oggi si trova la città vecchia. Ai suoi piedi vi erano le antiche saline, frutto di un'imponente opera dicanalizzazione e drenaggio compiuta dai romani, che alimentarono un forte commercio a testimonianza del quale rimane attualmente il toponimo della via del Sale. Per Trieste seguÏ un lungo periodo di benessere e pace, vennero costruite la basilica, il foro e il tempio capitolino. Nel IV secolo d.C., in seguito alle invasioni degli eserciti barbari e alla caduta dell'Impero romano, la città sprofondò nel grigiore, anche artistico, e per vederla nuovamente rifiorire dobbiamo aspettare il XII secolo.Costituitasi come libero Comune nel 1236 per sfuggire all'invadenza politica e commerciale della Repubblica di Venezia, Trieste preferÏ avvicinarsi all'Austria, geograficamente più lontana e con interessi diversi, con cui nel 1382 firmò l'Atto di dedizione, momento molto importante per la sua storia. Sotto l'Impero asburgico infatti la città riuscÏ a raggiungere nel XVII secolo uno sviluppo economico e sociale mai raggiunto prima grazie alla politica economica avviata da Carlo VI e continuata dalla figlia Maria Teresa. Trieste, indispensabile in quanto unico sbocco sul mare dell'Impero, ottenne da Vienna nel 1719 lo status di porto franco; le franchigie doganali e il suo sterminato hinterland attirarono in città commercianti, imprenditori ed avventurieri da tutte le parti del mondo.
Anglicani, greci, luterani, ortodossi, ebrei ed altre comunità religiose presenti in città poterono liberamente confessare il loro culto grazie soprattutto alla politica tollerante di Maria Teresa, che permise loro di edificare i propri edifici sacri, tuttora interessante patrimonio culturale e religioso oltre che un itinerario turistico alternativo. La città si estese notevolmente ben oltre le mura romane: nacquero cosÏ il Borgo Teresiano (dall'interramento delle antiche saline attorno al Canale di Ponterosso), più tardi quello Giuseppino (più o meno la zona a ovest di piazza Unità d'Italia) e infine quello Franceschino (la zona attorno alla direttrice via Battisti-via Carducci-piazza Oberdan), dai nomi degli imperatori che li fecero edificare. Trieste cominciò quindi ad assumere la caratteristica di città cosmopolita, multietnica e tollerante pronta ad accogliere gente da tutto il mondo. Fiorirono numerose attività commerciali, assicurative (le Assicurazioni Generali, la Ras), marittime (il Lloyd Austriaco, divenuto poi Triestino) e bancarie.
Dopo una breve dominazione francese a cavallo del XIX secolo, Trieste tornò in mano austriaca per divenire ancora una volta un'oasi felice, nella quale il commercio ebbe un nuovo impulso grazie anche all'apertura del canale di Suez che avvicinò la città alle Indie e all'estremo Oriente. Prese corpo in questo periodo anche una rinascita culturale e politica: Joyce, Svevo, Stuparich, Saba furono solo alcuni tra i più famosi frequentatori dei suoi caffË letterari. Gli ideali di libertà, di italianità e di unione nazionale trovarono qui terreno fertile e molti triestini, insofferenti alla gestione viennese, diventarono appassionati sostenitori dell'indipendenza politica e della cultura italiana.
Con l'avvento dell'Italia alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918, Trieste cambiò radicalmente volto. Perso in un solo colpo il suo retroterra naturale, Trieste da città-porto dell'Impero asburgico si trovò ad essere uno dei tanti porti adriatici dello Stato italiano. Si aprÏ cosÏ la strada a un fenomeno di provincializzazione, nel senso di una perdita dell'identità cosmopolita a favore di una più ristretta identità di frontiera, caratteristica che ancora oggi stenta a rimuovere. Trieste, per forza di cose, si trovò costretta a seguire le sorti dell'intera nazione. Dopo il ventennio fascista e l'armistizio del 1943, fu annessa al III Reich e si trovò a far parte del "Litorale adriatico", comprendente i territori occupati dai tedeschi. Furono periodi davvero bui per la storia della città, nella quale purtroppo fu posto anche l'unico campo di concentramento italiano, nella ex fabbrica per la pilatura del riso, a S. Sabba.
Con la fine della guerra e la caduta dei nazisti nel maggio del 1945 la città non trovò la serenità. A causa della mancata alleanza (soprattutto ideologica) fra la Resistenza italiana e i partigiani jugoslavi, Trieste si trovò al centro una grande questione internazionale: da un lato vi erano le presunte rivendicazioni territoriali da parte della nascente e confinante Repubblica Jugoslavia, intenzionata ad annettere Trieste al suo territorio, dall'altra gli alleati angloamericani che non volevano certo lasciare "sguarnito" questo importante avamposto situato sul delicato confine con l'Est Europa. Il 1° maggio del '45 Trieste fu occupata dall'esercito jugoslavo, quaranta terribili giorni di repressione dell'esercito di Tito contraddistinti dai tristi eccidi delle foibe (profonde cavità carsiche in cui vennero gettati molti italiani e anticomunisti). Nel giugno del '45 si instaurò un'amministrazione angloamericana, il Governo Militare Alleato, che resse le sorti della città in attesa di una decisione.
Col trattato di Parigi del 1947 fu sancita l'internazionalizzazione del territorio triestino, cioË la creazione del Territorio Libero di Trieste (TLT) che avrebbe dovuto essere retto da un governatore nominato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In attesa della sua nomina, il territorio attorno alla città venne diviso in due zone: la Zona A, da Duino a Trieste, amministrata dagli angloamericani, e la Zona B, da Capodistria fino a Cittanova, amministrata dagli jugoslavi. Una situazione provvisoria solo nelle intenzioni, dato che si protrasse fino al 1954 quando, con il Memorandum di Londra, venne di fatto sancita tale divisione. Alla complicata vertenza pose la parola fine, non senza numerose polemiche, nel 1975 il Trattato di Osimo: i confini di ambedue gli stati vennero riconosciuti, la zona A divenne italiana, mentre la zona B fu ceduta agli jugoslavi. Lo "status quo" venne cosÏ legalmente riconosciuto, anche se ci fu ancora qualcuno convinto della provvisorietà di tale stato di coseÖ
Trieste diviene cosÏ "città di frontiera", "porta dell'Est", caratteristiche queste che, con tutti i loro pregi e difetti, porta tuttora come un marchio indelebile sulla propria pelle. Assieme all'atmosfera e al fascino mitteleuropeo che ne fanno, adesso come adesso, un "unicum" del suo genere.
Una città che, oltre allo sviluppo del sue infrastrutture portuali, punta molto sul terziario e sulla scienza; una città che crede fermamente alle sfide derivanti dall'allargamento a Est dell'Unione europea.
LEGGENDE Bora, la signora di Trieste
Si racconta che Bora sia in verità una strega che abita le caverne carsiche. Nel periodo invernale, ama però uscire dal suo rifugio e, assieme al figlioletto Borino, scagliarsi furiosamente su qualsiasi cosa incontri. Gelida e violenta, si abbatte sulle persone, sulle automobili, sulle finestre delle case, sugli alberi. Si è tentato di rinchiuderla nel suo antro, ma ancora oggi, al sopraggiungere della stagione invernale, sfoga la sua rabbia sulla città di Trieste.
La Bora, in verità, era una ninfa che abitava i boschi del Carso. Soffiava durante l'estate per portare refrigerio agli uomini che lavoravano questa dura terra. Un giorno, però, giunsero da lontano degli uomini cattivi che impiantarono di prepotenza le loro dimore sul suolo carsico. Fatalità volle che proprio uno di questi burberi coloni uccise l'amato di Bora, e la ninfa , per vendetta , si mise a soffiare gelida e con violenza. E' così che divenne nemica degli uomini e da allora ogni inverno fa sentire la sua fredda rabbia.
In un tempo che non si riesce a ricordare, Vento scorrazzava per il mondo con i propri figli. Tra di essi c'era anche la giovane Bora. Un giorno l'allegra combriccola capitò in un verdeggiante altipiano che scendeva ripido sul mare. Vento si distrasse un momento e subito Bora si allontanò dal gruppo, per correre a divertirsi scombussolando tutte le povere nuvole che abitavano quel pezzo di cielo. Affaticata dalla corsa scalmanata, entrò in una grotta, dove aveva trovato rifugio da tutto quel trambusto il mitico eroe Tergesteo.
Tergesteo era forte, bello e molto diverso dai suoi fratelli Venti, dal Mare, dalla Terra e da tutto quello che fino a quel momento Bora aveva visto e conosciuto, tant'é che se ne innamorò perdutamente. L'Amore prese in mano le redini del gioco e i due vissero felici in quella grotta sette splendidi giorni di passione.
Quando il Vento si accorse della scomparsa di Bora (ce ne volle del tempo perchéi figli erano tanti e tutti molto irrequieti) si precipitò a cercarla. Cerca che ti cerca, chiese informazioni a tutti, al Mare, alla Terra e al Cielo, finché un cirronembo particolarmente brontolone, al quale Bora aveva fatto fin troppi dispetti, rivelò il nascondiglio di Bora. Il Vento scovò i due innamorati e la sua rabbia fu tale da uccidere il povero Tergesteo.
Vento intimò a Bora di riprendere il cammino con il resto del gruppo, ma l'infelice amante si rifiutò categoricamente. Dal suo volto scorrevano lacrime che si materializzavano in roccia e il suo dolore era tanto che ormai l'altipiano ne era ricoperto.
Intervenne Madre Natura che convinse Vento a lasciare in pace Bora. Ma la poveretta non cessava il suo pianto. Allora la Terra, preoccupato per l'eccessiva presenza di tutte quelle pietre che incominciavano a rovinare il paesaggio, concesse a Bora di regnare sul luogo della sua disperazione. E il Cielo, per non essere da meno, con la complicità del sole e delle nubi le concesse di rivivere ogni anno i suoi sette splendidi giorni d'amore. Allora, e solo allora, Bora smise il suo pianto.
Le storie dei grandi amori finiti male commuovono sempre: la Terra decise che dal sangue di Tergesteo nascesse il sommacco, che da quella volta colora di rosso l'autunno carsico; il Mare diede ordine alle Onde di lambire il corpo del povero innamorato coprendolo di conchiglie, di stelle marine e di alghe
verdi: Tergesteo si elevò alto verso il cielo diventando più alto di tutte le altre colline. I primi uomini che si insediarono sulla sua collina, vi costruirono un Castelliere con le lacrime di Bora divenute pietre.
Ecco come Bora si consolò; e aspettando ogni anno i fatidici giorni d'amore con il suo Tergesteo, divenne la Signora di Trieste.
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